Disabilità intellettiva

A cura di Francesco Meucci


Nel DSM 5 (APA, 2013) la disabilità intellettiva è definita come un disturbo con esordio nel periodo dello sviluppo che comprende deficit nel funzionamento intellettivo e adattivo.

Il deficit delle funzioni intellettive, come ragionamento, problem solving, pianificazione, pensiero astratto, capacità di giudizio, apprendimento scolastico e apprendimento dall’esperienza, deve essere confermato sia da una valutazione clinica sia da test di intelligenza standardizzati.

I deficit adattivi, senza un supporto costante, limitano il funzionamento in una o più attività della vita quotidiana, come la comunicazione, la partecipazione sociale e la vita autonoma, in molteplici ambienti quali la casa, la scuola e il lavoro.

La diagnosi di disabilità intellettiva presenta quattro livelli di gravità: lieve, moderata, grave, estrema. Tale livello deve essere definito non sulla base del quoziente intellettivo (QI), ma sulla base del funzionamento adattivo. Gli ambiti nei quali viene valutato il funzionamento adattivo sono tre: concettuale (didattico), sociale e pratico.

La disabilità intellettiva ha una prevalenza complessiva nella popolazione generale dell’1% circa e le percentuali di prevalenza variano in base all’età.

Il ritardo nelle tappe dello sviluppo motorio, del linguaggio e sociale può essere identificabile entro i primi due anni di vita nei bambini con disabilità intellettiva più grave, mentre il disturbo di grado lieve può non essere identificabile fino all’età scolare, quando le difficoltà di apprendimento scolastico diventano evidenti.

Le principali figure professionali coinvolte nella diagnosi e nel trattamento dei bambini con disabilità intellettiva sono il neuropsichiatra infantile, lo psicologo, il logopedista, il neuropsicomotricista dell’età evolutiva e l’educatore.